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Scoperto il Dna del Tartufo

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Scoperto il Dna del Tartufo

Svelato il genoma del tartufo nero. Completato il genoma del tartufo nero Tuber melanosporum, grazie a una rete di ricerca franco-italiana, coordinata dal Centro INRA di Nancy, da CNR-Università di Torino e dall’Università di Parma. I risultati pubblicati su Nature E’ stato determinata la prima sequenza genomica di un fungo commestibile, il tartufo nero Tuber melanosporum. Oltre ad un enorme avanzamento delle conoscenze sulla biologia di questi funghi, i risultati ottenuti permettono di tracciare i tartufi sulla base della loro provenienza e dunque offrono un fondamentale strumento per valorizzare, salvaguardare, conservare e favorire la riproduzione di questo prodotto, certificandolo e contrastando le frodi.

Il sequenziamento del genoma è stato analizzato e interpretato grazie all’analisi dettagliata condotta presso Génoscope, il centro di ricerca francese dedicato ai sequenziamenti genomici, da un consorzio di 50 ricercatori francesi e italiani, costituito a Torino nel 2007, composto da gruppi del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Torino e Perugia e delle Università di Parma, Torino, Bologna, L’Aquila, Roma Sapienza e Urbino  e coordinato da Francis Martin, direttore del laboratorio di  ‘Ecogenomics of Interactions’ dell’INRA di Nancy. La ricerca apre nuovi scenari sulla biologia di questo misterioso e prezioso ‘tubero’, spiegando i processi e i meccanismi evolutivi che portano alla sua formazione in simbiosi con le radici di alcune piante. I tartufi, come molti funghi, producono sulle radici delle loro piante ospiti strutture caratteristiche (micorrize) essenziali per il loro ciclo vitale, e che conferiscono al corpo fruttifero particolari caratteristiche organolettiche.

La scelta del tartufo nero è stata dettata dalla sua importanza agro-alimentare e culturale per molti paesi mediterranei, Italia e Francia in particolare. “I risultati più sorprendenti dell’indagine sono in primo luogo quantitativi”, spiega Paola Bonfante, ricercatrice dell’Istituto per la Protezione delle Piante del Cnr e dell’Università di Torino. “Il genoma del tartufo nero è il più grande tra quelli dei funghi finora sequenziati, con 125 milioni di coppie di basi. Responsabili di questa dimensione del DNA sono sequenze ripetute di alcuni elementi genetici mobili (trasposoni), che rappresentano il 58% dell’intero genoma. I geni che codificano per proteine sono 7.500, di cui circa 6.000 trovano corrispondenza in altri funghi. Tuttavia, diverse centinaia di geni del tartufo sono unici e svolgono un ruolo fondamentale nella formazione del corpo fruttifero e della relazione simbiotica con la pianta ospite”. Il genoma del Tuber è stato confrontato con quello di Laccaria bicolor, appartenente ad un gruppo di funghi diverso e già sequenziato dal gruppo di Martin. “Si sono evidenziate forti differenze nel modo in cui i due simbionti dialogano con le piante ospiti: ciò suggerisce che la simbiosi micorrizica abbia seguito strade evolutive diverse”, aggiunge Simone Ottonello dell’Università di Parma. Al di là e dell’interesse accademico e delle nuove conoscenze biologiche, il genoma di Tuber melanosporum fornisce preziose informazioni applicative per le tecniche di tartuficoltura, il cui valore economico diretto e indiretto è prezioso nelle aree di provenienza (Umbria, Marche e altre regioni del centro-nord per l’Italia, Perigord e Provenza per la Francia). “La sequenza genomica mette a disposizione migliaia di marcatori genetici che verranno impiegati per evidenziare polimorfismi genetici (sequenze diagnostiche di DNA) nei tartufi provenienti da diverse zone”, spiega ancora Bonfante, “e le impronte genetiche così ottenute permetteranno di tracciare i tartufi sulla base della provenienza, fornendo una sorta di certificazione del prodotto da usare anche come strumento anti-frode, nel senso della tutela prevista dalla legge 752 del 1985”. “I marcatori genetici forniscono anche informazioni essenziali sulle regioni del genoma responsabili dell’aroma, così apprezzato”, spiega Ottonello. “Si potrà, entro breve tempo, definire un profilo genetico-molecolare che coniughi origine geografica e profumo dei tartufi neri, identificando le regioni polimorfiche e i geni che codificano gli enzimi responsabili della formazione dei composti volatili. L’analisi della sequenza genomica ha inoltre evidenziato il ridottissimo potenziale allergenico dei tartufi e l’assenza delle principali vie metaboliche responsabili della formazione delle micotossine”. Grazie a queste informazioni, la tartuficoltura potrà selezionare individui geneticamente caratterizzati con tratti organolettici particolarmente pregiati.Completato il sequenziamento del genoma del tartufo nero, grazie a una rete di ricerca Franco-Italiana, coordinata in Francia dal Centro INRA di Nancy e in Italia dai gruppi CNR – Università di Torino e Università di Parma.

I risultati pubblicati su Nature (Francis Martin, Annegret Kohler, Claude Murat, Raffaella Balestrini, Pedro M. Coutinho, Olivier Jaillon, Barbara Montanini, Emmanuelle Morin, Benjamin Noel, Riccardo Percudani et al. (2010) Périgord black truffle genome uncovers evolutionary origins and mechanisms of symbiosis. Nature (doi:10.1038/nature08867). Per informazioni: Paola Bonfante, Istituto per la Protezione delle Piante - Consiglio Nazionale delle Ricerche ~ Tartufo, nome comune di diverse specie di funghi ipogei commestibili appartenenti al genere Tuber. Al genere Tuber appartengono diverse specie di funghi ipogei comunemente chiamati tartufi, appartenenti alla famiglia Tuberaceae, classe degli Ascomiceti. I tartufi hanno corpo fruttifero ipogeo, ovvero sotterraneo, e crescono spontaneamente nel terreno accanto alle radici di alcuni alberi o arbusti, in particolare querce, leccio con i quali stabiliscono un rapporto simbiotico (micorriza). Comunemente per tartufo si intende il solo corpo fruttifero ipogeo che viene individuato con l’aiuto di cani e raccolto a mano. Il tartufo è un alimento estremamente pregiato e ricercato, molto costoso. Il tipico profumo penetrante e persistente si sviluppa solo a maturazione avvenuta e ha lo scopo di attirare gli animali selvatici (maiale, cinghiale, tasso, ghiro, volpe), nonostante la copertura di terra, per spargere le spore contenute e perpetuare la specie. L’origine della parola tartufo fu per molto tempo dibattuta dai linguisti, che dopo secoli di incertezze giunsero alla conclusione, ritenuta probabile ma non definitiva, che tartufo derivasse da territùfru, volgarizzazione del tardo latino terrae tufer (escrescenza della terra), dove tufer sarebbe usato al posto di tuber (vedi Dizionario Italiano Sabatini-Coletti, Giunti, Firenze 1999). Anche se, in effetti, i latini chiamavano questo fungo terrae tuber, l’etimologia proposta appare forzata. Recentemente, lo storico Giordano Berti ha dimostrato in modo convincente che il termine tartufo deriva da terra tufule tubera.

Questo titolo appare in testa ad un’illustrazione della raccolta del tartufo contenuta nel Tacuinum sanitatis, codice miniato a contenuto naturalistico risalente al XIV secolo, conosciuto in diverse versioni. Il termine tartufo nasce quindi, secondo Berti, dalla somiglianza che nel Medioevo si ravvisava tra questo fungo ipogeo e il tufo, pietra porosa tipica dell’Italia centrale. Il termine si contrasse poi in terra tufide e nei dialettali tartùfola, trìfula, tréffla, trìfola. Il termine tartufo cominciò a diffondersi in Italia nel Seicento, ma nel frattempo la dizione volgare era già emigrata in altri paesi d’Europa assumendo varie dizioni: truffe in Francia, Trüffel in Germania, truffle in Inghilterra. Le prime notizie certe sul tartufo compaiono nella Naturalis Historia, di Plinio il Vecchio. Nel I secolo d.C., grazie al filosofo greco Plutarco di Cheronea, si tramandò l’idea che il prezioso fungo nascesse dall’azione combinata dell’acqua, del calore e dei fulmini. Da qui trassero ispirazione vari poeti; uno di questi, Giovenale, spiegò che l’origine del prezioso fungo, a quell’epoca chiamato “tuber terrae”, si deve ad un fulmine scagliato da Giove in prossimità di una quercia (albero ritenuto sacro al padre degli dèi). Poiché Giove era anche famoso per la sua prodigiosa attività sessuale, al tartufo da sempre si sono attribuite qualità afrodisiache. la scienza che studia i tartufi si chiama idnologia e deriva dal greco ydnon. Il tartufo rimase sempre un cibo altamente apprezzato, soprattutto nelle mense di nobili ed alti prelati. Per alcuni “scienziati” dell’epoca, il suo aroma era una sorta di “quinta essenza” che provocava sull’essere umano un effetto estatico.Nel 1564 Alfonso Ceccarelli scrisse un libro sul tartufo, l’Opusculus de tuberis.  N.D.R.


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